Una dono inaspettato - Lugana Superiore 2002 Ca' Lojera

Qualche anno fa Sandro Sangiorgi mi rimproverò di aver pubblicato sulla mia pagina Facebook - a quei tempi questo blog ancora non esisteva - una foto di questo vino corredato dalla seguente didascalia:

"Uno dei miei vini preferiti. Un trionfo." 

Il vino era stato premiato dall'AIS con un attestato di eccellenza sulla Guida Vitae 2015.

 

"Amica mia - disse Sangiorgi - uno dei tuoi vini preferiti?? Ma non scherziamo..." e prese a sciorinarmi un lungo elenco di etichette altisonanti, soprattutto francesi, inclusa quella di un altro Lugana ben più famoso e premiato.

Lui, Ca' Lojera, non l'aveva mai sentita nominare.

Lungi dal voler affermare che è il vino di Ambra e Franco Tiraboschi è il più buono del mondo (sarebbe ridicolo da parte mia fare un'affermazione così definitiva), trovo che questo sia un piccolo grande vino, commovente come un dono inaspettato. 

Tutto mi sorprende di questo vino. Il vitigno da cui proviene. La posizione delle vigne. L'annata sfortunata. Persino l'interpretazione.

Chiudo gli occhi e in bocca sento il calore di un grande vitigno. Frutto di un inganno climatico operato dalla presenza mitigante del Lago di Garda (lo stesso che consente la sopravvivenza degli ulivi), si tratta a tutti gli effetti di un Verdicchio in trasferta al 45° parallelo, localmente chiamato Turbiana, piantato sulle rive di una vasta distesa verde acqua che non chiude le coste come gli altri laghi settentrionali, al contrario, le illumina e le riscalda, sempre aperto e ventoso, disseminato di vele colorate.

Guardo l'orizzonte e un po' mi ricorda l'Adriatico (che in fondo è un grande lago, come diceva Gianni Masciarelli), ma la visione non è completa senza l'immagine delle viti piantate a bordo lago, con le radici immerse nelle argille grigioverdi della riva, e lo sciabordio continuo delle onde in lontananza. Viti intrappolate in una terra di nessuno, tra cielo e acqua, fango denso e vischioso o zolla dura come il cemento a seconda che piova o brilli il sole.

Ritorno con la memoria a quell'estate sfortunata, fredda e piovosa. Sogni interrotti, traditi. Con la Natura è così. Bisogna accettare. Eppure, a distanza di quindici anni, quel 2002 sta regalando vini concentrati, ricchi ed evoluti. Talvolta grazie a microclimi fortunati. Il più delle volte grazie a severissime cernite. Poche bottiglie. Attese in cantina. Amatissime.

Chiudo gli occhi e immagino la mano sapiente di Franco scegliere ogni singolo acino, con rabbia, con caparbietà, con amore. Sicuramente in silenzio. Forse maledicendo mentalmente il cielo. O forse ringraziandolo per quella benevolenza inattesa.

 

Ho sempre pensato che i loro vini fossero la sintesi perfetta della personalità di entrambi: un misto di essenzialità ed eleganza. Oggi però annuso il vino nel bicchiere e per la prima volta da quando li conosco mi sfiora un pensiero assurdo: anche se è Franco a stare in cantina, trovo che i suoi vini somiglino maggiormente ad Ambra. Sarà perché lei è una narratrice così abile da riuscire a farli diventare come una seconda pelle, ma io credo che la ragione sia un'altra: Ambra è l'anima attraverso cui Franco filtra il suo vino. Lui lo sente, fisicamente, lo incontra, lo sceglie, ma è attraverso di lei che lo interpreta. E al vino rimane adesa una sorta di impronta, un'immagine allo specchio, un negativo fotografico, che ne cattura l'essenza: il portamento elegante, il sorriso dolcissimo, l'enigmaticità dello sguardo. 

Ambra e Franco Tiraboschi ai tempi della bottiglia (Ph. Credits: Salzotto)

Ambra e Franco Tiraboschi ai tempi della bottiglia (Ph. Credits: Salzotto)

 

L'oro barocco imprigionato nel bicchiere sa di ricordi mediterranei, fico e mandorla, albicocca secca, con una nota di vernice che riporta una vena di austera sobrietà. I mobili siano pure coperti di polvere dorata, ma le linee sono essenziali e i tratti discreti, velatamente malinconici, con un tocco di zagara che fa pensare all'innocenza di un'anima bella. 

In bocca si vede che guarda a certi Riesling molti secchi: l'acidità è ancora vibrante, mentre la dolcezza mi sorprende: cifra stilistica dei loro vini, talvolta scavalca e prevarica, ma qui no, qui arretra e lascia il passo, in perfetto equilibrio con la magnificenza del gusto, producendo un effetto di grande pulizia.   

 

Ph. Credits: Luciano Pignataro

Ph. Credits: Luciano Pignataro

Guardo il liquido dorato già con un po' di nostalgia. E ripenso a certe giornate di sole, trascorse a bordo lago in compagnia di Ambra. In particolare mi viene in mente una giornata estiva del 2014, un'altra annata fredda e piovosa.

Ambra che alza lo sguardo con una punta di preoccupazione e fissa l'orizzonte: l'increspatura sull'acqua è cambiata e il vento ha mutato direzione. Adesso soffia dalle montagne. 

"Mia madre era nata contadina. Le bastava un'occhiata per interpretare il tempo..."

Io che osservo la superficie del lago. L'acqua ha cambiato colore. Poco prima del mio arrivo c'è stato uno scroscio d'acqua, ma poi il cielo era ridiventato terso e i colori brillanti. Ora c'è di nuovo foschia. E nuvoloni all'orizzonte. 

"Chissà come andrà a finire questa pazza estate che forse non è mai iniziata..."

Ambra che fa una pausa e poi sorride, sempre fissando l'orizzonte.

"Mai dire mai con le vigne. E' come con le gravidanze: devi aspettare il nono mese. Dovesse mai sistemarsi il tempo nell'ultimo mese, potremmo anche avere grandi sorprese..." 

A volte le cose si sistemano in un modo o nell'altro. 

Guardo di nuovo il mio bicchiere. Sì, decisamente un dono inaspettato.